IL PRETORE
    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile  n.
 3033/1990 r.g. Pretura  di  Lecce,  avente  ad  oggetto  risarcimento
 danni, passata in decisione all'udienza del 7 febbraio 1994, promossa
 da  Gigante  Anna,  in  proprio  e  quale rappresentante della figlia
 minore Melcarne Sara,  attrice,  rappresentante  e  difesa  dall'avv.
 Silvia Maggiore, domiciliataria, contro l'amministrazione provinciale
 di   Lecce,  convenuta,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Menotti
 Guglielmi, dal quale e' rappresentata e difesa per procura  in  calce
 alla citazione e delibera di giunta.
                           RILEVATO IN FATTO
    Con  atto  notificato  il  26 novembre 1990 Gigante Anna citava in
 giudizio l'Ente provinciale di Lecce, esponendo:
      1) che il giorno  29  maggio  1990  l'auto  di  sua  proprieta',
 Citroen  LNA  targata L 366569, ma condotta da Mazzotta Maria Teresa,
 con a bordo la  propria  figlia  minore  Melcarne  Sara,  nel  mentre
 percorreva  la  strada provinciale Cavallino - Lecce, improvvisamente
 era incappata in un tratto di strada completamente allagata, a  causa
 della  pioggia  ancora  in  atto, senza che la situazione di pericolo
 fosse in alcun modo segnalata;
      2) che la conducente aveva  perso  il  controllo  dell'auto,  la
 quale  era  finita  contro  un muro di cinta latistante la strada, ed
 aveva riportato in tal modo danni per lire 3.698.248, nel  mentre  la
 propria  figlia  minore  aveva  riportato lesioni personali giudicate
 guaribili in giorni 10 dai medici dell'Ospedale  di  Lecce,  ove  era
 stata ricoverata.
    Tanto  premesso  chiedeva la condanna dell'Ente provincia di Lecce
 al pagamento della somma di lire 3.698.248, oltre al risarcimento dei
 danni per le lesioni. Con vittoria di spese e diritti.
    Si costituiva in giudizio, l'amministrazione provinciale di Lecce,
 come sopra rappresentata e difesa, e deduceva:
      1) che l'attrice doveva provare che  il  tratto  di  strada  nel
 quale   era   avvenuto   il  sinistro  fosse  di  appartenenza  della
 amministrazione convenuta;
      2) che una pozzanghera d'aqua, mentre era in corso un temporale,
 non poteva costituire insidia tale da indurre in errore un  guidatore
 accorto secondo normale diligenza;
      3)  che  l'attrice  doveva  fornire  la  prova  di essere legale
 rappresentante della minore Melcarne Anna e che comunque  il  quantum
 richiesto dalla Gigante era eccessivo.
    Chiedeva  pertanto  il rigetto della domanda attorea, con vittoria
 di spese e compensi.
    Nel corso dell'istruzione veniva espletata prova per testi.
    All'udienza del 7 febbraio 1994 la causa  e'  stata  introitata  a
 sentenza sulle conclusioni di cui in epigrafe.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    Va preliminarmente rilevato che dalla prova per testi espletata e'
 emerso  univocamente  che il tratto di strada in cui si e' verificato
 l'incidente  de  quo  era  sito  fuori  dal  centro  abitato,  e   di
 appartenenza  della  amministrazione provinciale di Lecce. Gli stessi
 testi hanno riferito che in caso di pioggia detto  tratto  di  strada
 era   all'epoca   soggetto  abitualmente  ad  allagamenti  e  che  la
 situazione di pericolo non era segnalata.
    In ordine a queste circostanze nessuna prova contraria ha  fornito
 l'ente provincia.
    L'amministrazione  pubblica, nel costituirsi in giudizio, ha, come
 indicato, eccepito, che una  pozzanghera,  mentre  era  in  corso  un
 temporale, non poteva costituite insidia tale da indurre in errore un
 guidatore accorto secondo la normale diligenza, e che ben altre erano
 le   caratteristiche   di   un   ostacolo   per  poterlo  considerare
 trabocchetto per l'utente della strada.
    Cio' posto, ritiene  questo  pretore  di  sollevare  d'ufficio  il
 problema della legittimita' costituzionale:
      1)   dell'2051   c.c.  ove  interpretato,  come  da  consolidata
 giurisprudenza di legittimita',  nel  senso  che  la  presunzione  di
 responsabilita' di cui all'art. 2051 non e' applicabile nei confronti
 della  pubblica  amministrazione  per quelle particolari categorie di
 beni facenti parte del demanio pubblico sui quali  e'  esercitato  un
 uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini;
      2)  dell'art.  2043  del c.c. ove interpretato nel senso, sempre
 come  da  consolidata  giurisprudenza,  che  comunque,  pur   esclusa
 l'applicabilita'   dell'art.   2051   del   c.c.,  non  sussisterebbe
 responsabilita' della pubblica amministrazione ove  non  ricorrano  i
 caratteri  dell'insidia,  sia  per  il  carattere obiettivo della non
 visibilita'  del  pericolo  sia  per  quello  subiettivo  della   non
 prevedibilita' del medesimo (vedi ad es. Cass. 23 marzo 1992, n. 3594
 in foto italiano 93, pag. 198);
      3)  dell'art.  1227,  comma primo c.c. nel senso che, esclusa la
 ricorrenza dell'insidia, viene escluso l'accertamento  dell'eventuale
 concorso   di  colpa  della  pubblica  amministrazione  ed  accertata
 l'insidia, viene escluso  l'accertamento  a  carico  del  danneggiato
 dell'eventuale concorso di colpa.
    Come   osservato  da  F.  Caringella  nella  nota  a  commento  di
 cassazione n. 3594 del 1992, (in foro  italiano  93,  pag.  198)  "il
 concetto  di  insidia, inteso come situazione diversa dall'apparente,
 idoneo, a  costituire  un  pericolo  occulto  sia  per  il  carattere
 obiettivo  della  non  visibilita',  sia  per quello subiettivo della
 imprevedibilita'  e/o  inevitabilita'   con   l'uso   della   normale
 diligenza,  e'  stato  elaborato dalla giurisprudenza a partire dagli
 anni 20 (l'autore cita tra le altre cassazione sezione unica 23 marzo
 1925 in tema di responsabilita' della pubblica amministrazione per  i
 danni subiti dagli utenti della strada in conseguenza della difettosa
 manutenzione della stessa).
    E'   noto   che   la   giurisprudenza,   ha  inizialmente  escluso
 l'applicabilita' della responsabilita' per danno da cose in custodia,
 per  il  rilievo  della  l'impossibilita'  da  parte  della  pubblica
 amministrazione  di  esercitare  un  adeguato controllo custodiale su
 determinate categorie di beni demaniali, ivi comprese le strade e  le
 autostrade,  di  notevole  estensione  territoriale e soggette ad uso
 generale ordinario e diretto da parte  dei  cittadini,  anche  se  ha
 affermato  la responsabilita' della pubblica amministrazione sotto il
 profilo della violazione del precetto  del  neminem  laedere,  ed  in
 particolare  della colposa creazione, per difetto di manutenzione, di
 una situazione insidiosa potenzialmente  atta  a  determinare  eventi
 dannosi (da ultimo cass. 28 gennaio 1991 n. 803)".
    Lo  stesso  F.  Caringella,  sempre  nella  nota  di commento alla
 sentenza indicata, osserva altresi' che:  "Con  riferimento  a  detta
 costruzione  giurisprudenziale, la dottrina (comporti, presunzione di
 responsabilita' e pubblica amministrazione: verso  l'eliminazione  di
 privilegi  ingiustificati, in foro italiano 85, pag. 1497), paventato
 la  dubbia  armonizzabilita'  con  il  principio  costituzionale   di
 ugualianza,  di  una  soluzione comportante una vistosa disparita' di
 trattamento tra la pubblica amministrazione, ab imis esonerata  dalla
 gravosa  forma  di responsabilita' di cui all'art. 2051 del c.c. ed i
 privati proprietari di strade, chiamati  a  rispondere  a  titolo  di
 custodi,   e   soggetti  quindi,  all'inversione  dell'onus  probandi
 legislativamente statuita".
    Ritiene questo Pretore che sia  il  principio  di  uguaglianza  di
 tutti  i  soggetti  dinanzi  alla  legge,  sia  lo specifico precetto
 costituzionale del buon andamento dell'amministrazione, il quale  non
 esclude  ed  anzi  presuppone  un  dovere di vigilanza e di uso delle
 normale diligenza anche  da  parte  della  pubblica  amministrazione,
 dovrebbero   condurre   la   pubblica  amministrazione  ad  attivarsi
 tempestivamente  per  eliminare  ab  origine,  ossia   in   fase   di
 realizzazione, o per porre immediato rimedio a situazioni di pericolo
 verificatesi sui beni pubblici.
    Diversamente,  l'interpretazione  giurisprudenziale  indicata, che
 considera decisivo ai fini della esclusione della responsabilita'  in
 capo   alla   pubblica   amministrazione   non   la  valutazione  del
 comportamento  in  concreto  tenuto   dall'ente   pubblico,   ma   la
 visibilita'  e  prevedibilita'  del  pericolo  da  parte dell'utente,
 potrebbe  fornire  un  involontario  supporto  alla  inerzia,   anche
 protratta e colpevole della pubblica amministrazione.
    La  giurisprudenza  indicata  infatti  non  richiede alla pubblica
 amministrazione neppure la dimostrazione che il  pericolo  sia  stato
 originato  da  circostanze  o  con  modalita' tali che non ne abbiano
 consentito una tempestiva eliminazione o segnalazione.
    Deve inoltre porsi l'accento sul fatto che il concetto di insidia,
 inizialmente sorto per  il  presupposto  della  impossibilita'  della
 pubblica  amministrazione  di  controllare,  tenuto  conto  dei mezzi
 tecnici  all'epoca   disponibili,   beni   di   notevole   estensione
 territoriale, e' stato, dalla giurisprudenza applicato, per escludere
 l'applicazione   dell'art.  2051  del  c.c.  e  per  valutare  invece
 l'applicazione dell'art. 2043 del c.c., anche in  situazioni  in  cui
 l'oggetto  causante  del  danno era situato all'interno di un bene di
 limitata estensione, quale un palazzo di giustizia, (vedi la sentenza
 n.  3594/1992  sopra citata), per cui non carebbero dovute sussistere
 quelle concrete difficolta' ad  eseguire  la  normale  vigilanza  che
 avevano  indotto  la  giurisprudenza ad elaborare l'orientamento piu'
 volte richiamato.
    Ne consegue che la posizione del danneggiato sembra aver fatto  un
 passo  indietro  rispetto  a  quello orientamento che, in relazione a
 beni di limitata estensione territoriale, aveva ritenuto  applicabile
 l'art.  2051  anche  alla  pubblica  amministrazione  (vedi  ad.  ed.
 cassazione 21 gennaio 1987, n. 526).
    Sembra  pertanto  auspicabile  che   la   regolamentazione   della
 responsabilita'   della   pubblica   amministrazione,   che  presenta
 indubbiamente profili di speciale peculiarieta', avvenga a  mezzo  di
 apposite norme di legge.
    E' da considerare poi che gli attuali mezzi tecnici e di personale
 della  pubblica amministrazione consentono o dovrebbero consentire in
 molti casi una pronta rilevazione delle situazioni di pericolo.
    Ne' puo' essere taciuto che intendendo l'insidia non come  esempio
 dell'attivita'  colposa  della  pubblica  amministrazione,  ma  quale
 condizione  di  ammissibilita'  dell'azione,  si  perverrebbe   anche
 all'assurdo  di  dover  ritenere  o  meno  una  stessa  situazione di
 pericolo che fonte di responsabilita' della pubblica amministrazione,
 in  presenza  di  due  o  piu'  soggetti  danneggiati  dalla   stessa
 situazione,  a  secondo  della  presenza di circostanze contingenti e
 aleatorie, non inerenti alla qualita' personali del danneggiato,  del
 tutto  avulse  e  distinte  dal  comportamento  tenuto dalla pubblica
 amministrazione.
    Si pensi ad es. ad una grossa buca nell'asfalto,  che,  in  centro
 abitato  ed in situazioni di traffico intenso, puo' essere visibile e
 quindi  evitabile  dall'automobilista  di  normali  condizioni  psico
 fisiche  che  proceda  per  primo  in  colonna,  ma  puo'  non essere
 avvistabile e quindi  non  evitabile  dall'automobilista,  sempre  di
 normali  condizioni  psicofisiche, che proceda nelle ultime posizioni
 della colonna.
    Eventualita'  questa  che  contribuisce  a  far   dubitare   della
 conformita'  al dettato costituzionale della interpretazione corrente
 in tema di insidia.
    Vanno inoltre rilevato le difficolta'  sul  piano  probatorio  cui
 puo'  essere esposto il danneggiato nel dover dimostrare che il danno
 subito e' stato cagionato da una situazione di pericolo non  visibile
 e qiundi non evitabile, e che quindi, ad es., l'intenso traffico e la
 posizione  occupata in una lunga fila di auto, non abbiano consentito
 al danneggiato di avvistare tempestivamente l'ostacolo.
    Ed ancora e' notorio che l'uso dei  beni  pubblici  puo'  avvenire
 anche  da  parte di utenti ai quali, per le loro condizioni personali
 (eta' minore, presenza di handicap, stati patologici) non possono, di
 norma,  essere  applicati   i   criteri   della   prevedibilita'   ed
 evitabilita'  dell'ostacolo,  per  cui  norme  di ordinarie diligenza
 dovrebbero imporre alla pubblica  amministrazione  di  porre  riparo,
 gia'  prima  del  verificarsi  di  eventi  dannosi,  a  situazioni di
 pericolo note e conclamate.
    Sempre il Caringella (op. cit.), pone  in  rilievo  l'osservazione
 fatta  dal  Comporti  secondo  cui  "  ... la progressiva metamorfosi
 subita  dalla  stessa  nozione  di  insidia,  la  quale,  nel   corso
 dell'elaborazione     pretoria,     da     concetto    sinteticamente
 rappresentativo  della  colposa  condotta  manutentiva  tenuta  dalla
 pubblica  amministrazione,  si  e'  trasformata  in  una   condizione
 oggettiva    di    ammissibilita'   sostanziale   della   azioni   di
 responsabilita'  nei   confronti   della   pubblica   amministrazione
 (Comporti, citato dal Caringella nella nota indicata).
    Va   rilevato  che  detta  metamorfosi  del  concetto  di  insidia
 prescinde da  ogni  valutazione  sul  comportamento  colpevole  della
 pubblica  amministrazione  e porta quindi ad escludere ogni efficacia
 causale della omissione, anche colpevole e protratta  della  pubblica
 amministrazione,  mentre  dovrebbe  costituire  solo  un criterio per
 graduare l'eventuale concorrente responsabilita'  del  danneggiato  e
 quindi  solo  limitare  la entita' del danno risarcibile. Attualmente
 invece viene esclusa, ove  accertata  la  presenza  dell'insidia,  un
 concorso di colpa del danneggiato e quindi l'applicabilita' dell'art.
 1227,  comma  primo  del  c.c.  Di  contro,  esclusa l'insidia, viene
 escluso qualsiasi concorso di colpa della pubblica amministrazione.
    Detto   orientamento   giurisprudenziale   denota   una   "cronica
 riluttanza   verso   l'abolizione   dei   privilegi  tradizionalmente
 riconosciuti  alla  pubblica  amministrazione"  (sempre   Caringella,
 cit.).
    Detto  orientamento,  che porta in pratica alla disapplicazione di
 alcune   norme   fondamentali    sulla    disciplina    dell'illecito
 extracontrattuale,  sembra sacrificare ingiustamente la posizione del
 cittadino di un  momento  storico  in  cui  il  riconoscimento  della
 capacita'  impositiva  diretta  in favore degli enti locali, dovrebbe
 assicurare un livello di servizi  adeguato  ai  mezzi  tecnologici  e
 finanziari disponibili.
   Sempre  sul tema va ricordato che il Comporti (in foro italiano 85,
 pag.  1507)  ha  osservato:   "L'anomalia   di   questo   consolidato
 orientamento   giurisprudenziale  e'  evidente  sotto  vari  profili,
 perche': a) il giudizio di responsabilita' e' deviato da  quello  che
 deve essere il suo oggetto naturale, ossia l'accertamento della colpa
 della amministrazione nelle infinite possibilita' di violazione delle
 regole  di  diligenza,  di esperienza, e di perizia tecnica: sicche',
 limitandosi tale giudizio alla prova dell'esistenza di una insidia  o
 trabocchetto,  anche  la  sfera di colpa dell'amministrazione viene a
 subire ingiustificate limitazioni; b) la creazione di una  insidia  o
 di  un trabocchetto costituiscono manifestazioni di colpa grave della
 pubblica amministrazione, dal momento che si tratta di situazioni  di
 pericolo  eccezionali  e  rare,  stante la ricorrenza stabilita dalla
 giurisprudenza   dei   caratteri   della   invisibilita'   e    della
 imprevedibilita'; ma l'art. 2043 del c.c. pur richiedendo il criterio
 soggettivo  di  imputabilita'  della  colpa,  da  provarsi  da  parte
 dell'attore, non si richiama affatto alla  colpa  grave,  ma  ad  una
 concezione  unitaria  di  essa,  in  relazione  al  modulo elastico e
 relativo del diligens pater familias:  sicche'  non  dovrebbe  essere
 preclusa    l'affermazione    della    responsabilita'    per   colpa
 dell'amministrazione anche al di fuori delle  ipotesi  di  insidia  o
 trabocchetto;  c)  attualmente l'attore puo' ottenere il risarcimento
 dei danni subiti a causa del difetto di manutenzione stradale solo se
 dimostra, come si e'  visto,  l'esistenza  di  un  pericolo  occulto,
 invisibile  ed  imprevedibile:  una  volta  data tale prova che, come
 risulta  dalla  casistica  giurisprudenziale,  e'  in  pratica  molto
 difficile,  viene  anche  escluso  nella  maniera  piu'  assoluta  un
 concorso di colpa dell'utente, ed accertata ugualmente in modo  certo
 l'esclusiva responsabilita' della pubblica amministrazione, ma in tal
 modo,  nei  giudizi  in  esame,  viene  cancellata la possibilita' di
 applicazione della norma di cui all'art. 1227, comma primo, del  c.c.
 sul concorso del fatto colposo della vittima, impedendo una soluzione
 che  frequentemente potrebbe apparire giusta e perfettamente adeguata
 a molti casi pratici,  nei  quali  possa  rinvenirsi  sia  una  colpa
 dell'amministrazione, che un concorso di colpa della vittima".
    Giova  infine ricordare che codesta Corte ha affermato che tra due
 interpretazioni  d'un  testo  di  legge,  l'una  conforme  e  l'altra
 contrastante  con  la  Costituzione,  deve sempre preferirsi la prima
 (Corte cost. 14 luglio 1988, n. 823).
   Ritiene pertanto questo Pretore che gli artt. 2043 e 2051  e  1227,
 primo  comma,  del  C.C. ove interpretati nel senso indicato, possano
 essere in contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,  che  sancisce
 l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, con l'art. 97 dello
 stesso   testo,   secondo  cui  gli  uffici  pubblici  devono  essere
 organizzati  in  modo  da  assicurare   il   buon   andamento   della
 amministrazione,  e  con  l'art.  24 della Costituzione, che sancisce
 l'inviolabilita' del diritto di  difesa,  dato  che  attualmente,  il
 cittadino,   dovendo   adire   l'autorita'   giudiziaria,  si  trova,
 normalmente, sia per le difficolta' sul piano della  prova  cui  puo'
 essere esposto, sia per il consolidato orientamento giurisprudenziale
 in  tema  di  insidia,  ad  essere  soccombente  anche in presenza di
 conclamate inerzie della pubblica amministrazione.
    Il che potrebbe comportare la  violazione  o  la  menomazione  del
 diritto di difesa del danneggiato sia sotto il profilo della denegata
 giustizia   sia   sotto  il  profilo  della  possibile  rinunzia  del
 danneggiato, di fronte  a  rischi  reali  di  soccombenza,  ad  adire
 l'autorita' giudiziaria.
    La  problematica  esaminata  e'  sicuramente rilevante nel caso in
 questione, in cui in astratto, il ricorrente ristagno  d'acqua  sulla
 carreggiata,  in caso di pioggia, costituiva circostanza prevedibile,
 nel senso di fatto percepibile in anticipo dal  conducente,  nonche',
 ove l'utente se ne fosse tempestivamente avveduto, evitabile, per cui
 questo pretore ritiene di sollevare d'ufficio la relativa questione.